CORTE DI APPELLO DI CATANIA 
                        Prima sezione civile 
 
    Nelle persone dei seguenti magistrati: 
        dott. Giuseppe Ferreri, Presidente; 
        dott. Marcella Murana, giudice; 
        dott. Antonio Caruso, giudice rel./est. 
    all'esito dell'udienza  del  13  maggio  2020  celebrata  con  le
modalita' c.d. «cartolari» previste dall'art. 83,  comma  7,  lettera
h), decreto-legge  n.  18/2020,  nella  causa  iscritta  al  n.  r.g.
183/2020 promossa da: 
    D           F           M            (C.F.                     ),
con  il   patrocinio   dell'avv.   Agatino   Cariola,   elettivamente
domiciliato nel suo studio in Via G. Carnazza n. 51 - Catania. 
    Appellante  contro  Citta'   metropolitana   di   Catania   (C.F.
00397470873),  con  il  patrocinio  dell'avv.  Bellomo  Immacolata  e
dell'avv.          , elettivamente  domiciliato  in  via  Umberto  n.
265 -  Catania,  presso  il  difensore   avv.   Bellomo   Immacolata,
appellata; 
    Ha emesso la seguente ordinanza. 
    1. Con ricorso ex art. 702-bis del codice di procedura civile  in
data 20 maggio  2019  D            F            M            ,  quale
cittadino italiano residente ed iscritto nelle liste  elettorali  del
Comune di              , citava in giudizio la  Citta'  metropolitana
di Catania per sentire accertare il diritto di  esso  ricorrente:  «a
che l'amministrazione dell'ente locale di secondo livello (in Sicilia
cd. citta' metropolitana) sia conformata  anche  a  mezzo  della  sua
scelta elettorale e sia  responsabile  nei  confronti  di  tutti  gli
elettori. Infatti, in base all'attuale legislazione  (art.  1,  comma
19, legge 7 aprile 2014, n. 56,  cd.  Delrio;  e  in  sua  pedissequa
imitazione art. 13, legge regionale Sicilia 4  agosto  2015,  n.  15,
come modificato dall'art. 4,  legge  regionale  Sicilia  29  novembre
2018,  n.  23),  nelle   cd.   citta'   metropolitane   "il   sindaco
metropolitano e' di diritto il sindaco del  comune  capoluogo".  Cio'
produce un'inammissibile discriminazione tra  i  cittadini  residenti
nel comune  capoluogo,  i  quali  a  mezzo  della  scelta  elettorale
effettuata in occasione delle elezioni comunali scelgono anche il cd.
sindaco metropolitano; ed i cittadini residenti negli  altri  comuni,
pur compresi nell'ambito cd. metropolitano, privi di ogni  potere  di
intervento a tal riguardo e, quindi,  lesi  nell'esercizio  dei  loro
diritti costituzionali - si direbbe mutuando un termine  diffuso  nel
linguaggio politico: delle loro prerogative - di partecipazione  alla
vita politica (articoli 1, 2, 3  e  48)  e  di  essere  governati  da
soggetti rappresentativi e pertanto responsabili nei  loro  confronti
(articoli 1, 5, 97, 114 e seguenti della Costituzione)». 
    Dopo avere delineato la  disciplina  delle  citta'  metropolitane
secondo quanto previsto dalla legge n. 56/2014  (c.d.  Delrio)  dando
atto che con la sentenza n. 50/2015  la  Corte  costituzionale  aveva
rigettato  le  impugnative  proposte  da  diverse  regioni,  in   via
principale, contro la stessa, e dopo avere  riportato  la  disciplina
degli enti di area vasta dettata nella Regione  Sicilia  dalla  legge
regionale n. 15/2015, nel testo attualmente vigente (e  frutto  della
dichiarazione  di   incostituzionalita'   pronunciata   dalla   Corte
costituzionale con sentenza n. 168/2018 degli articoli da 1 a 6 e  7,
lettere b), c) ed e), della legge della Regione siciliana  11  agosto
2017, n. 17 recante: Disposizioni in materia di elezione diretta  del
Presidente del libero Consorzio comunale e del Consiglio  del  libero
Consorzio comunale nonche' del sindaco metropolitano e del  Consiglio
metropolitano), meramente ripetitiva di quella  nazionale  introdotta
dalla   legge   n.   56/2014,    il    ricorrente    denunciava    la
incostituzionalita' delle norme delle  anzidette  leggi  che,  a  suo
avviso, conculcavano il  suo  diritto,  discriminandolo  rispetto  ai
cittadini della citta'  capoluogo  i  quali,  tra  tutti  i  soggetti
amministrati dalla citta' metropolitana, erano gli  unici  che  erano
chiamati, con il loro voto, a scegliere il sindaco metropolitano. 
    Chiedeva  quindi  al  tribunale   di   sollevare   questione   di
costituzionalita' con riferimento alle norme in questione nei termini
che di seguito si riportano: 
        «Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  13  della   legge
regionale Sicilia 4 agosto 2015, come modificato  dall'art.  4  della
legge  regionale  Sicilia  29  novembre  2018,  n.  23  ("Il  sindaco
metropolitano e' di diritto il sindaco del comune capoluogo.  Trovano
applicazione le disposizioni di cui al comma  22  dell'art.  1  della
legge 7 aprile 2014, n. 56"); per contrasto con gli articoli 1, 2,  3
e 48; nonche' per il contrasto con gli  articoli  1,  5,  97,  114  e
seguenti della Costituzione. 
        Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  14   della   legge
regionale Sicilia 4 agosto 2015, n. 15, come modificato  dall'art.  4
della legge regionale Sicilia 29 novembre 2018, n. 23,  ("Qualora  il
sindaco metropolitano cessi dalla carica per cessazione dalla  carica
di sindaco  del  comune  capoluogo  della  citta'  metropolitana,  il
vicesindaco rimane in carica fino all'insediamento del nuovo  sindaco
metropolitano"), per contrasto con i medesimi parametri indicati. 
        Illegittimita' costituzionale dell'art. 19,  comma  1,  della
legge regionale  Sicilia  4  agosto  2015,  n.  15,  come  modificato
dall'art. 7 della legge regionale Sicilia 29 novembre  2018,  n.  23,
("Il Presidente del  libero  Consorzio  comunale,  il  Consiglio  del
libero Consorzio comunale ed il  Consiglio  metropolitano  durano  in
carica cinque anni. In caso  di  rinnovo  del  consiglio  del  comune
capoluogo della citta' metropolitana, si procede a nuove elezioni del
Consiglio metropolitano entro sessanta giorni dalla proclamazione del
sindaco  del  comune  capoluogo"),  per  contrasto  con  i   medesimi
parametri indicati. 
        Illegittimita' costituzionale dell'art.  3,  comma  2,  della
legge  regionale  Sicilia  4  agosto  2015,  n.  15  ("La  Conferenza
metropolitana, su proposta  del  Consiglio  metropolitano,  adotta  o
respinge lo statuto e le sue modifiche con i voti  che  rappresentino
almeno la meta' dei comuni compresi nella citta' metropolitana  e  la
meta' della popolazione complessivamente residente"),  per  contrasto
con i parametri indicati in precedenza e per violazione dell'art.  67
della Costituzione. 
        Illegittimita'  costituzionale  delle  norme  presupposto   a
fondamento nella legge 7 aprile 2014, n. 56, e precisamente l'art. 1,
commi 19 ("Il sindaco metropolitano e'  di  diritto  il  sindaco  del
comune capoluogo"); comma 21 ("il  consiglio  metropolitano  dura  in
carica cinque anni. In caso  di  rinnovo  del  consiglio  del  comune
capoluogo, si procede a nuove elezioni  del  consiglio  metropolitano
entro sessanta giorni dalla  proclamazione  del  sindaco  del  comune
capoluogo"; commi 9 e 22 (sulle  procedure  di  adozione  e  modifica
dello statuto della citta' metropolitana), per i  parametri  indicati
in precedenza». 
    Con  ordinanza  in  data  20  dicembre  2019-7  gennaio  2020  il
tribunale di Catania, dopo avere richiamato Corte  costituzionale  n.
1/2014 (con cui, in accoglimento di  questione  di  costituzionalita'
sollevata  da  Cassazione,  n.  12060/2013,  era   stata   dichiarata
l'incostituzionalita' di alcune norme della  legge  elettorale  della
Camera dei deputati e del Senato della  Repubblica,  c.d.  Porcellum,
legge n. 270/2005), Corte  costituzionale  n.  110/2015  (che  invece
aveva dichiarato  inammissibile  la  questione  di  costituzionalita'
sollevata con  riferimento  alla  legge  elettorale  dei  membri  del
Parlamento europeo spettanti all'Italia, legge n.  18/1979)  e  Corte
costituzionale n. 35/2017 (che aveva dichiarato l'incostituzionalita'
di talune norme sempre relative alla legge elettorale dei membri  del
Parlamento, questa volta c.d. Italicum, legge n. 52/2015), dichiarava
il ricorso inammissibile, regolando secondo la soccombenza  le  spese
di lite, perche': «ricordato che la  questione  di  costituzionalita'
puo' essere posta dal cittadino soltanto in via incidentale  rispetto
ad un giudizio principale che sia successibile di essere definito con
una   pronuncia   autonoma   rispetto   al   giudizio   della   Corte
costituzionale (art. 23 della legge n. 87/1953), l'azione costitutiva
proposta avrebbe come unico fine quello di ottenere dal giudice a quo
"un visto d'entrata" per la Corte costituzionale. Tanto si desume dal
testo  del  ricorso,  dove,  al  di  la'  della   mera   affermazione
dell'oggetto del diritto vantato dal ricorrente, non e' dato evincere
un petitum autonomo e distinto da quello oggetto della  questione  di
costituzionalita', come del resto confermato dalle stesse conclusioni
dell'atto introduttivo, nelle quali il ricorrente "chiede che codesto
tribunale, previa promozione ai sensi dell'art.  23  della  legge  n.
87/1953 delle questioni di  legittimita'  costituzionale  secondo  le
prospettazioni in precedenza svolte - accolga il ricorso". Ed invero,
ipotizzando che il tribunale, in accoglimento del ricorso, sollevi la
questione   di   legittimita'   costituzionale   e   che   la   Corte
costituzionale accolga la questione di legittimita'  prospettata  dal
ricorrente, l'oggetto del giudizio a quo sarebbe interamente esaurito
dalla  declaratoria  di  incostituzionalita',  non  residuando  alcun
interesse in capo al ricorrente residuo e diverso  dalla  demolizione
delle  norme  sospettate  di  illegittimita'.  In  tal  modo,  ci  si
troverebbe di fronte ad una mera fictio iuris  in  base  alla  quale,
l'affermazione  di   un   diritto   "inviolabile",   "permanente"   e
costituzionalmente   rilevante,   come   quello   di   voto   e    di
rappresentativita' politica, costituirebbe il  lasciapassare  per  la
Corte costituzionale, in palese contrasto con l'art. 23  della  legge
n.  87/1953  e  con  il  carattere  incidentale  del   sindacato   di
costituzionalita'. Alla stregua delle superiori  considerazioni,  non
e' individuabile nell'odierna domanda un petitum separato e  distinto
da quello oggetto della  questione  di  legittimita'  costituzionale.
Occorre, peraltro, evidenziare come, per un verso, il rischio che  vi
siano delle "zone franche" dell'ordinamento sottratte al sindacato di
costituzionalita' appare scongiurato dalla circostanza che, nel  caso
in esame, si  discute  dell'elezione  del  sindaco  e  del  consiglio
metropolitano,   ovvero   di   elezioni   soggette    al    controllo
giurisdizionale;  per  altro  verso,  non  esiste  allo  stato  alcun
provvedimento emesso dalla Citta' metropolitana  di  Catania,  atteso
che con la legge  regionale  n.  8  del  7  giugno  2019  sono  state
annullate le elezioni del consiglio metropolitano indette con decreto
del sindaco metropolitano con decreto n. 60 del giorno 8 aprile  2020
per il 30 giugno 2019 e sono state rinviate ad una domenica  compresa
tra il 1° aprile 2020 ed il 30 aprile 2020. Pertanto, la  domanda  di
accertamento      proposta      da       D                 F         
 M            incardinata al di  fuori  di  una  determinata  vicenda
elettorale,  e'  inammissibile  per  difetto  del   requisito   della
rilevanza,  non  essendo  possibile  ravvisare  la   pregiudizialita'
costituzionale, ovvero l'esistenza di un petitum separato e  distinto
dalla questione di legittimita' costituzionale su cui  il  giudice  a
quo sia chiamato a pronunciarsi» (vedi  pagine  10-11  dell'ordinanza
impugnata). 
    Avverso la detta ordinanza D           F            M            
interponeva appello  articolando  plurimi  motivi  di  censura  avuto
riguardo alla ritenuta inammissibilita' del ricorso  e  riproponendo,
nel merito, la domanda azionata con il suo ricorso. 
    2. Ritiene la Corte che sussistano i presupposti che impongono di
sollevare la questione di costituzionalita' degli art. 13, comma 1, e
14 della legge regionale Sicilia 4 agosto 2015 e dell'art.  1,  comma
19, legge 7 aprile 2014, n. 56, per contrasto con gli articoli 1,  2,
3, 48, 5, 97, 114 e seguenti della Costituzione. 
    In via preliminare va ricordato che nel sistema  delle  autonomie
locali siccome delineato dagli articoli 5 e 114 della Costituzione ed
attuato, per quanto in questa sede interessa, dalla legge n.  56/2014
(c.d. Delrio) e nella Regione Sicilia dalla legge n. 15/2015,  l'ente
citta'  metropolitana,  ove  e'  stato   istituito,   e'   subentrato
all'omonima antevigente provincia  ad  essa  succedendo  in  tutti  i
rapporti attivi e passivi ed esercitandone le funzioni. 
    Prima della riforma degli enti di  area  vasta  introdotta  dalla
legge n. 56/2014, gli iscritti  nelle  liste  elettorali  dei  comuni
erano  chiamati   ad   eleggere,   in   via   diretta,   gli   organi
rappresentativi delle provincie  a  cui  appartenevano  e  quindi  il
Presidente della Provincia ed i componenti del Consiglio provinciale. 
    Con la legge n. 56/2014  laddove  l'ente  intermedio  e'  rimasto
individuato nella provincia, e' stato previsto, sia per il Presidente
che per il Consiglio provinciale, una elezione di  secondo  grado  in
cui l'elettorato attivo e passivo e'  attribuito  ai  sindaci  ed  ai
consiglieri comunali dei comuni della provincia. I cittadini, quindi,
in relazione alle provincie riformate, esercitano il diritto di  voto
in via indiretta nel momento in cui sono  chiamati  ad  eleggere  gli
organi dei comuni a cui appartengono. 
    Con riferimento alle citta' metropolitane vige lo stesso  sistema
di rappresentanza limitatamente al  Consiglio  metropolitano  (atteso
che anche in questo caso il consiglio e' eletto  dai  sindaci  e  dai
consiglieri della citta' metropolitana e  tra  di  essi),  invece  il
sindaco metropolitano e' per legge individuato nel sindaco del comune
capoluogo ed e' quindi espressione del  voto,  in  questo  caso,  dei
tesori iscritti nelle liste elettorali del comune capoluogo. 
    Cio'  posto  D            F            M            ,   cittadino
iscritto nelle liste elettorali di comune non capoluogo della  Citta'
metropolitana di Catania, ha agito in giudizio perche' sia  accertato
il suo diritto «a che l'amministrazione dell'ente locale  di  secondo
livello sia conformata anche a mezzo della sua  scelta  elettorale  e
che sia responsabile nei confronti di tutti gli elettori». 
    La normativa attualmente vigente esclude, come sopra evidenziato,
che D           F           M             possa  concorrere,  con  il
suo voto, anche indirettamente (ossia attraverso elezioni di  secondo
grado in cui il ricorrente abbia il  solo  diritto  di  eleggere  gli
elettori), alla elezione del sindaco metropolitano di Catania, e cio'
a  differenza  dei   residenti   nel   comune   capoluogo   dell'area
metropolitana in questione i  quali,  eleggendo  il  «loro»  sindaco,
eleggono al contempo anche il  sindaco  metropolitano  di  «tutti»  i
cittadini dell'area. 
    Proprio  per  questa  ragione  il  ricorrente  ha   chiesto   che
l'autorita' giudiziaria ordinaria da esso adita sollevi questione  di
legittimita'  costituzionale  delle  norme  che,  a  suo  avviso,  lo
discriminano. 
    Il tribunale, come sopra  gia'  riportato,  ha  ritenuto  che  la
domanda  di  giustizia  del  ricorrente  sia  inammissibile   perche'
attraverso il ricorso il predetto avrebbe sostanzialmente  impugnato,
in via diretta, le norme  di  cui  ha  denunciato  la  illegittimita'
costituzionale, in difformita' del modello di  procedimento  previsto
dalla  legge  per  l'accesso   al   giudizio   dinanzi   alla   Corte
costituzionale   in   cui,   come   e'   noto,   la   questione    di
costituzionalita' puo' essere sollevata dal privato in via  meramente
incidentale, e cio' perche'  nel  caso  a  mani  la  detta  questione
esaurirebbe del tutto quella posta dinanzi al giudice  a  quo,  senza
che quest'ultimo sia  poi  chiamato  a  pronunciarsi  su  un  petitum
ulteriore rispetto ad essa. 
    Ritiene la Corte di non potere  condividere  l'avviso  del  primo
giudice. 
    Va preliminarmente evidenziato che le leggi  sopra  indicate  che
non prevedono che  il  ricorrente,  al  pari  di  tutti  i  cittadini
elettori non iscritti nelle liste  elettorali  del  comune  capoluogo
della citta' metropolitana, possa concorrere,  anche  indirettamente,
all'elezione del sindaco metropolitano non sono leggi  elettorali,  e
tuttavia appare chiaro, specie alla luce del breve excursus normativa
sopra riportato, che all'esito della riforma istituzionale degli enti
di area vasta (operata a livello di Stato centrale e riprodotta dalla
normativa regionale) il D            , mentre nel sistema antevigente
poteva  concorrere  con  il  suo   voto   all'elezione   del   legale
rappresentante   dell'ente   intermedio   avente   anche   competenza
innumerata, adesso non lo puo' piu'. 
    Pur non venendo in rilievo leggi propriamente  elettorali,  posto
che il ricorso verte  sull'accertamento  del  diritto  di  elettorato
attivo del ricorrente,  a  suo  dire  discriminatoriamente  limitato,
correttamente il tribunale e le parti si sono ampiamente  confrontati
con arresti giurisprudenziali aventi ad oggetto  asserite  (e  talora
risultate  tali  all'esito  del   giudizio   di   costituzionalita'),
limitazioni al diritto di voto nell'ambito delle  elezioni  politiche
ed europee. 
    In estrema sintesi secondo il tribunale: a)  l'integrale  lettura
dell'ordinanza  n.  12060/2013  con  cui  la  S.C.  ha  sollevato  la
questione di costituzionalita' del c.d. Porcellum tiene fermo,  anche
in materia  di  diritto  di  voto,  il  consolidato  principio  della
necessita' che  la  questione  di  costituzionalita'  si  ponga  come
incidentale e non esaustiva del petitum del giudizio  a  quo;  b)  il
caso  a  mani  rientrerebbe  nell'ipotesi  appena  indicata;  c)  non
sussiste il  rischio  di  creazione  di  zone  franche  sottratte  al
sindacato giurisdizionale atteso che non si verte in tema di elezioni
politiche  per  cui  vige  l'autodichia  delle  Camere,  atteso   che
piuttosto si discute dell'elezione del sindaco  metropolitano  in  un
ambito pienamente soggetto al controllo giurisdizionale, e cio' fermo
restando che il ricorso e' stato incardinato  al  di  fuori  «di  una
determinata vicenda elettorale». 
    Secondo l'appellante invece:  1)  Cassazione  n.  12060/2013  «ha
inaugurato un nuovo orientamento della giustizia  costituzionale  ...
che ha appunto posto un meccanismo di  incidentalita'  attenuata  nei
giudizi in materia elettorale nei quali viene in questione il diritto
fondamentale  del  cittadino  elettore  ad  un   sistema   elettorale
rispettoso del principio di democrazia e dei  suoi  corollari  tra  i
quali la partecipazione al voto dei cittadini  e  la  responsabilita'
politica di chi governa»; 2)  il  riferimento  alla  possibilita'  di
sottoporre comunque la questione sollevata  con  il  ricorso  all'AGO
nell'ambito delle impugnative ex art. 21 del decreto  legislativo  n.
150/2011  (al  pari  di  quanto  avviene  in  tema  di  elezioni  del
Parlamento   europeo   per   cui   sussiste   parimenti   l'anzidetta
possibilita' ex art. 23  del  decreto  legislativo  n.  150/2011,  in
difetto di autodichia, sui  cui  si  fonda  Corte  costituzionale  n.
110/2015), non vertendosi in tema di elezioni politiche, non  farebbe
buon governo del principio dettato  dalla  Corte  nella  sentenza  da
ultimo menzionata atteso che nel caso a mani «non vi  sarebbe  nessun
atto da impugnare in via  autonoma»  perche'  «non  vi  e'  un  esito
elettorale da gravare e contro  cui  ricorrere,  se  non  appunto  la
designazione automatica che deriva dalla scelta legislativa». 
    2.1. Ritiene la Corte l'esame delle sentenze  in  relazione  alle
quali sia le parti che il primo giudice si sono confrontati,  deponga
nel senso dell'esistenza del carattere incidentale della questione di
costituzionalita' sollevata dall'appellante. 
    Per dare conto delle ragioni di tale  approdo  decisorio  bisogna
prendere le mosse dall'esame di Cassazione, n. 12060/2013. 
    La S.C. e' stata chiamata a pronunciarsi sul  ricorso  presentato
da un cittadino elettore il quale, con riferimento all'elezione della
Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica, denunciava che  la
legge n. 270/2005, impendendo l'espressione di voto di  preferenza  e
prevedendo un «premio di maggioranza» alla lista che  abbia  ottenuto
anche un solo voto in piu' delle altre, senza nemmeno  la  previsione
di una soglia minima in voti o seggi, fosse  in  contrasto,  tra  gli
altri, con l'art. 1,  commi  2  e  3,  e  48,  commi  2  e  4,  della
Costituzione, e chiedeva all'AGO dichiararsi che, proprio in  ragione
delle anzidette norme di legge, il suo diritto  di  voto  non  poteva
essere esercitato in modo libero  e  diretto,  secondo  le  modalita'
previste e garantite dalla Costituzione  e  dal  protocollo  1  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali e conseguentemente  chiedeva  di  ripristinarlo
secondo modalita' conformi alla legalita' costituzionale. 
    A fronte dell'anzidetta domanda di giustizia  la  S.C.  in  primo
luogo affrontava la questione relativa  all'esistenza  dell'interesse
ad agire del ricorrente ravvisandolo appieno  sulla  base  del  fatto
che: 
        a)  l'azione  proposta  piu'  che  di  mero  accertamento  si
avvicinava a  quelle  di  accertamento-costitutive,  se  non  proprio
costitutive («Del resto, come si e'  detto,  e'  discutibile  che  si
tratti  realmente  di  un'azione  di  mero  accertamento,  posto  che
l'interesse dei ricorrenti non e' tanto quello di sapere di non avere
potuto esercitare (nelle  elezioni  gia'  svolte)  e  di  non  potere
esercitare (nelle prossime elezioni) il diritto fondamentale di  voto
in modo conforme  a  Costituzione,  ma  e'  quello  di  rimuovere  un
pregiudizio che  invero  non  e'  dato  da  una  mera  situazione  di
incertezza ma da una  (gia'  avvenuta)  modificazione  della  realta'
giuridica  che  postula  di  essere  rimossa  mediante   un'attivita'
ulteriore, giuridica e materiale, che consenta ai cittadini  elettori
di esercitare realmente il  diritto  di  voto  in  modo  pieno  e  in
sintonia con i valori costituzionali. In tal  modo  ci  si  allontana
dall'archetipo delle azioni di mero accertamento  per  avvicinarsi  a
quello delle azioni costitutive o di  accertamento-costitutive»),  in
relazione  alle  quali  la   stessa   eventualita'   dell'inesistenza
dell'interesse ad agire si appalesava certamente remota  atteso  che:
«sarebbe ben difficile sostenere che l'accertamento  richiesto  abbia
ad oggetto una questione astratta o  meramente  ipotetica  o  che  si
risolva nella mera richiesta di un parere legale al giudice»; 
        b)  «L'espressione  del  voto  -  attraverso  la   quale   si
manifestano  la  sovranita'  popolare  (art.  1,   comma   2,   della
Costituzione) e la stessa dignita' dell'uomo - costituisce oggetto di
un diritto inviolabile (articoli 2, 48, 56 e 58  della  Costituzione,
art. 3, prot. 1, Convenzione europea per la salvaguardia dei  diritti
dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali)   e   "permanente"   dei
cittadini,  i  quali  possono  essere  chiamati  ad  esercitarlo   in
qualunque momento e devono poterlo  esercitare  in  modo  conforme  a
Costituzione. Lo stato di incertezza  al  riguardo  e'  fonte  di  un
pregiudizio concreto  e  cio'  e'  sufficiente  per  giustificare  la
meritevolezza dell'interesse ad agire in capo ai ricorrenti». 
    Tanto premesso in punto di interesse ad agire la S.C., al  §  3.2
della ordinanza,  affrontava  funditus  la  questione  che  viene  in
rilievo, in guisa dirimente, nella controversia a mani. 
    E' opportuno riportare i passaggi dell'argomentare della  Suprema
Corte. 
    La S.C., dopo avere posto con esattezza i  temi  della  questione
(«3.2. - Si potrebbe ancora obiettare che non si potrebbe distinguere
tra l'oggetto del giudizio di merito principale e quello del giudizio
avente ad oggetto l'esame della questione  di  costituzionalita'.  In
altri termini, non vi  sarebbe  la  possibilita'  di  configurare  la
questione  di  costituzionalita'  come  incidentale  rispetto  ad  un
giudizio principale che non sarebbe suscettibile di  essere  definito
con una pronuncia di merito. Ci si riferisce evidentemente alla  tesi
secondo   cui   l'incidentalita'   che   caratterizza   il   giudizio
costituzionale esige una maggiore ampiezza  del  giudizio  a  quo  e,
dunque, la necessita' di  una  statuizione  ulteriore  da  parte  del
giudice di merito in relazione alla domanda proposta, pur dopo che la
Corte costituzionale abbia deciso la questione di  costituzionalita'.
Questa statuizione ulteriore costituisce il segno ineludibile che  la
questione e' stata sollevata, appunto, davvero in via  incidentale  e
non, surrettiziamente, in via principale, perche' altrimenti  sarebbe
violato il divieto di accesso diretto alla Corte  costituzionale  che
distingue il  nostro  ordinamento  da  altri  ordinamenti  dove  tale
accesso e' consentito (la legge  11  marzo  1953,  n.  87,  art.  23,
stabilisce che e' possibile sollevare una questione  di  legittimita'
costituzionale "nel corso di un giudizio  dinanzi  ad  una  autorita'
giurisdizionale" e "qualora il giudizio  non  possa  essere  definito
indipendentemente dalla risoluzione della questione"). La tesi  sopra
ricordata (elaborata rispetto al problema della c.d. fictio litis) e'
condivisibile  nella  misura  in  cui  il   giudizio   a   quo   deve
effettivamente essere mirato  a  far  ottenere  un  bene  della  vita
proprio o comunque "concettualmente" distinguibile dalla  caducazione
della norma di legge all'esito del giudizio di  costituzionalita',  e
cosi' non e' nei casi in  cui  il  petitum  del  giudizio  di  merito
consista esclusivamente nell'impugnazione diretta  di  una  norma  di
legge  ritenuta   incostituzionale)»,   la   risolve   positivamente,
ritenendo sussistente il carattere  incidentale  della  questione  di
costituzionalita' sottoposta al suo vaglio  preliminare,  sulla  base
della seguente motivazione: «3.2.1. - A queste obiezioni i giudici di
merito hanno replicato evidenziando  che  la  proposta  questione  di
legittimita' costituzionale "non esaurisce la controversia di merito"
ed ha rispetto ad essa una "portata piu' ampia in  quanto  introdotta
mediante la formulazione di una domanda di accertamento".  Questa  e'
un'affermazione sostanzialmente condivisibile. Infatti  non  potrebbe
ritenersi che vi sia coincidenza (sul piano fattuale e giuridico) tra
il dispositivo della sentenza costituzionale e quello della  sentenza
che definisce il giudizio di merito. Quest'ultima accerta  l'avvenuta
lesione del diritto azionato e,  allo  stesso  tempo,  lo  ripristina
nella pienezza della sua espansione, seppure  per  il  tramite  della
sentenza costituzionale. Il punto merita una  riflessione  ulteriore.
3.2.2. - Si  deve  considerare  che  l'autonomia  tra  l'oggetto  del
giudizio di merito e di quello costituzionale risulta  piu'  evidente
nelle  azioni  di  condanna,  ma  non  scompare   nelle   azioni   di
accertamento    e,    a    maggior    ragione,    in    quelle     di
accertamento-costitutive. Come osservato da una autorevole  dottrina,
ci sono leggi che creano in maniera immediata restrizioni dei  poteri
o doveri in capo a determinati soggetti, i quali nel  momento  stesso
in cui la legge entra in vigore si trovano gia' pregiudicati da esse,
senza bisogno dell'avverarsi di  un  fatto  che  trasformi  l'ipotesi
legislativa  in  un  concreto  comando.  In  tali  casi  l'azione  di
accertamento puo' rappresentare l'unica strada  percorribile  per  la
tutela giurisdizionale di diritti fondamentali  di  cui,  altrimenti,
non sarebbe possibile  una  tutela  ugualmente  efficace  e  diretta.
L'esistenza nel nostro ordinamento di un filtro  per  l'accesso  alla
Corte  costituzionale,  che  e'  subordinato  alla  rilevanza   della
questione  di  costituzionalita'  rispetto  alla  definizione  di  un
giudizio comune, di certo  non  puo'  tradursi  in  un  ostacolo  che
precluda quell'accesso qualora  si  debba  rimuovere  un'effettiva  e
concreta   lesione   di   valori    costituzionali    primari.    Una
interpretazione  in  senso  opposto  indurrebbe  a   dubitare   della
compatibilita' della legge n. 87 del  1953,  medesimo  art.  23,  con
l'art.  134  della  Costituzione  (vedi   Corte   costituzionale   n.
130/1971)»). 
    Riassumendo quindi: a fronte della domanda di  un  cittadino  che
agiva in giudizio per sentire accertare dall'AGO che l'esercizio  del
suo   diritto   di   voto   alle   elezioni   politiche   era   stato
incostituzionalmente  compresso  dalla  legge  elettorale   all'epoca
vigente, la S.C.  riteneva  che  la  questione  di  costituzionalita'
dedotta  presentasse  carattere  incidentale,  e  non  principale  ed
esclusivo, del giudizio incardinato dinanzi al giudice  a  quo,  gia'
soltanto perche' la sentenza di merito, in quanto di accertamento del
diritto vantato «accerta l'avvenuta lesione del diritto  azionato  e,
allo stesso tempo, lo ripristina nella pienezza della sua espansione,
seppure per il tramite della sentenza costituzionale». 
    Non e' inutile peraltro sin da subito evidenziare  come  la  S.C.
(nell'affrontare la questione della sussistenza  e  della  attualita'
dell'interesse  ad  agire),   parallelamente,   e   senza   accennare
minimamente alla  questione  della  autodichia  vigente  in  tema  di
elezioni delle camere, abbia chiarito che: «Una interpretazione della
normativa elettorale che,  valorizzando  la  tipicita'  delle  azioni
previste   in   materia   (di   tipo   impugnatorio   o   concernenti
l'ineleggibilita', la decadenza o l'incompatibilita' dei  candidati),
escludesse in radice ovvero condizionasse la proponibilita' di azioni
come quella qui  proposta  al  maturare  di  tempi  indefiniti  o  al
verificarsi di condizioni non previste dalla legge (come, ad esempio,
la convocazione dei comizi elettorali), entrerebbe in conflitto con i
parametri  costituzionali  (art.  24  e  art.  113,  comma  2)  della
effettivita' e tempestivita' della tutela giurisdizionale». 
    Ad avviso della  S.C.,  quindi,  se  il  diritto  di  voto  -  di
carattere «permanente» - viene compresso  da  una  legge,  la  tutela
giurisdizionale dinanzi al giudice dei diritti puo'  essere  invocata
in qualsiasi momento ed a  prescindere  dagli  strumenti  impugnatori
tipici e,  quindi,  dall'esistenza  di  un  determinato  procedimento
elettorale. 
    Sulla questione di costituzionalita' sollevata da  Cassazione  n.
12060/2013 si e' pronunciata, accogliendola, Corte costituzionale  n.
1/2014, la quale la ha sottoposta a serrato  vaglio  anche  sotto  il
profilo della sussistenza del carattere incidentale, nel  giudizio  a
quo,  con  motivazioni  che,  anche  in  questo  caso,  e'  opportuno
riportare:  «...la  Corte  di  cassazione,  con  motivazione   ampia,
articolata ed approfondita, ha plausibilmente argomentato  in  ordine
sia   alla   pregiudizialita'   delle   questioni   di   legittimita'
costituzionale rispetto alla definizione del giudizio principale, sia
alla  rilevanza  delle   medesime.   Omissis   Il   rimettente,   con
argomentazioni plausibili, ha altresi' sottolineato, in  ordine  alla
natura ed oggetto dell'azione, che gli attori hanno agito allo  scopo
"di  rimuovere  un  pregiudizio",  frutto  di  "una  (gia'  avvenuta)
modificazione della realta' giuridica che postula di  essere  rimossa
mediante un'attivita' ulteriore, giuridica e materiale, che  consenta
ai cittadini elettori di esercitare realmente il diritto di  voto  in
modo pieno e in sintonia con i valori costituzionali". A suo  avviso,
gli attori hanno, quindi, chiesto al giudice ordinario - in  qualita'
di giudice dei diritti - di accertare la portata del proprio  diritto
di  voto,  resa  incerta  da  una  normativa  elettorale  in  ipotesi
incostituzionale,  previa  l'eventuale  proposizione  della  relativa
questione. Pertanto,  l'eventuale  accoglimento  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale non esaurirebbe la tutela  richiesta  nel
giudizio principale, che si realizzerebbe solo a seguito ed in virtu'
della  pronuncia  con  la  quale  il  giudice  ordinario  accerta  il
contenuto del diritto dell'attore, all'esito della sentenza di questa
Corte. Al riguardo, in ordine ai presupposti  della  rilevanza  della
questione di legittimita' costituzionale, va ricordato  che,  secondo
un principio enunciato da questa Corte fin dalle sue prime  pronunce,
"la circostanza che la dedotta  incostituzionalita'  di  una  o  piu'
norme legislative costituisca l'unico motivo di  ricorso  innanzi  al
giudice a quo non impedisce di considerare sussistente  il  requisito
della  rilevanza,  ogni  qualvolta  sia  individuabile  nel  giudizio
principale un petitum separato e distinto dalla  questione  (o  dalle
questioni) di  legittimita'  costituzionale,  sul  quale  il  giudice
rimettente sia chiamato a pronunciarsi" (sentenza n. 4 del  2000;  ma
analoga affermazione era gia' contenuta  nella  sentenza  n.  59  del
1957), anche  allo  scopo  di  scongiurare  "la  esclusione  di  ogni
garanzia e di ogni  controllo"  su  taluni  atti  legislativi  (nella
specie le leggi-provvedimento: sentenza n. 59 del 1957). Nel caso  in
esame, tale condizione e' soddisfatta, perche' il petitum oggetto del
giudizio principale e' costituito dalla pronuncia di accertamento del
diritto azionato,  in  ipotesi  condizionata  dalla  decisione  delle
sollevate questioni di legittimita'  costituzionale,  non  risultando
l'accertamento richiesto al giudice comune totalmente assorbito dalla
sentenza di questa Corte, in quanto residuerebbe  la  verifica  delle
altre condizioni cui la legge  fa  dipendere  il  riconoscimento  del
diritto di voto. Per di piu', nella  fattispecie  qui  in  esame,  la
questione ha  ad  oggetto  un  diritto  fondamentale  tutelato  dalla
Costituzione, il diritto di voto, che ha come connotato essenziale il
collegamento ad un interesse del corpo sociale nel suo insieme, ed e'
proposta allo scopo di porre fine ad  una  situazione  di  incertezza
sulla effettiva portata del predetto diritto determinata  proprio  da
"una (gia'  avvenuta)  modificazione  della  realta'  giuridica",  in
ipotesi  frutto  delle  norme   censurate.   L'ammissibilita'   delle
questioni di legittimita' costituzionale sollevate nel corso di  tale
giudizio si desume precisamente  dalla  peculiarita'  e  dal  rilievo
costituzionale, da un lato,  del  diritto  oggetto  di  accertamento;
dall'altro, della  legge  che,  per  il  sospetto  di  illegittimita'
costituzionale, ne rende incerta la portata». 
    La Corte costituzionale inoltre condivideva la posizione  assunta
dal giudice remittente anche in ordine  alla  piena  possibilita'  di
chiedere l'accertamento del diritto, e conseguentemente  di  accedere
al  giudizio  di  costituzionalita',   «indipendentemente   da   atti
applicativi»  della  normativa  di  cui  era  stata   denunciata   la
incostituzionalita',  e  quindi  anche  in  difetto  di  procedimento
elettorale in corso. 
    Infine   la   Corte    costituzionale,    sempre    a    sostegno
dell'ammissibilita' della questione, aggiungeva  alle  argomentazioni
gia' esposte, introducendole con la congiunzione «anche»,  specifiche
considerazioni relative alla  necessita'  di  evitare  che  le  leggi
elettorali  del  Parlamento  venissero  sottratte  al   giudizio   di
costituzionalita'  («Nel  quadro  di  tali  principi,  le   sollevate
questioni di legittimita' costituzionale sono ammissibili,  anche  in
linea  con  l'esigenza  che  non  siano  sottratte  al  sindacato  di
costituzionalita' le leggi,  quali  quelle  concernenti  le  elezioni
della  Camera  e  del  Senato,  che  definiscono  le   regole   della
composizione di organi costituzionali essenziali per il funzionamento
di un sistema democratico-rappresentativo e che  quindi  non  possono
essere immuni da quel sindacato. Diversamente, si  finirebbe  con  il
creare una  zona  franca  nel  sistema  di  giustizia  costituzionale
proprio in un ambito strettamente connesso con l'assetto democratico,
in quanto incide sul diritto fondamentale di voto; per  cio'  stesso,
si  determinerebbe  un   vulnus   intollerabile   per   l'ordinamento
costituzionale complessivamente considerato»). 
    Sembra  quindi  al  decidente  che  il  ragionamento   di   Corte
costituzionale n. 1/2014 vada letto  nel  senso  che,  posto  che  la
questione sollevata da Cassazione n. 12060/2013 e' ammissibile per le
ragioni prima esposte, a cio' si aggiunge che la detta  soluzione  e'
«anche in linea con l'esigenza che non siano sottratte  al  sindacato
di costituzionalita'» leggi, quali quelle relative all'elezione delle
camere, che altrimenti difficilmente potrebbero  giungere  al  vaglio
della Corte. Ne consegue che non  e'  la  possibilita'/impossibilita'
che la norma che viene in rilievo nel giudizio  a  quo  possa  essere
altrimenti sottoposta a sindacato costituzionale il metro  utilizzato
dalla Corte per decidere se la questione che la coinvolga presenti, o
meno, carattere incidentale, costituendo quello da  ultimo  riportato
un argomento ulteriore che, ad abundatiam,  la  Corte  costituzionale
aggiunge. 
    Si e'  sopra  ricordato  come  il  tribunale,  nel  ritenere  non
sussistente  il  carattere  di  incidentalita'  della  questione   di
costituzionalita' sollevata dal ricorrente, abbia evidenziato come la
detta soluzione non determini zone franche sottratte al sindacato  di
costituzionalita', atteso che la normativa che viene in  rilievo  nel
presente  giudizio  potrebbe  ben  costituire  oggetto  di  controllo
giurisdizionale,   e   conseguentemente   anche   di   giudizio    di
costituzionalita' in detta  sede  sollevato,  da  parte  del  giudice
ordinario nell'ambito dei giudizi impugnatori tipici. 
    La detta  posizione  sembra  riprendere  il  passaggio  di  Corte
costituzionale n. 1/2014 da ultimo riportato, nei termini in  cui  lo
stesso e' stato ampiamente valorizzato  da  Corte  costituzionale  n.
110/2015 che prima il tribunale ha citato. 
    Con la sentenza n. 110/2015 la Corte costituzionale ha dichiarato
inammissibile,  per  difetto  di  incidentalita',  la  questione   di
legittimita' costituzionale delle norme della  legge  elettorale  dei
rappresentanti italiani al Parlamento europeo sollevata, nel giudizio
a quo, da taluni elettori che si dolevano della compressione del loro
diritto di voto in ragione della previsione di legge  secondo  cui  i
voti  sarebbero  stati  attribuiti  solo  alle  liste  che   avessero
raggiunto  una  certa  soglia  di  sbarramento  pari  ad  una   certa
percentuale dei voti validi espressi. 
    Nell'adottare l'anzidetta  decisione,  effettivamente,  la  Corte
costituzionale ha ritenuto che: «La verifica della  pregiudizialita',
la quale implica l'esistenza di un petitum separato e distinto  dalla
questione di costituzionalita' su cui il giudice a quo sia chiamato a
pronunciarsi,  va  compiuta,  pertanto,  tenendo  nel  dovuto   conto
l'imprescindibile esigenza di evitare il rischio di  immunita'  della
legge di cui si tratti dal sindacato  di  costituzionalita'»,  ed  ha
concluso per la inammissibilita' della questione di costituzionalita'
perche' in relazione alle elezioni europee, a  differenza  di  quanto
avviene per le elezioni politiche, non e' prevista  alcuna  forma  di
autodichia  e  qualsivoglia  esigenza  di  tutela  e'  devoluta  alla
giurisdizione dell'AGO nell'ambito di un giudizio principale promosso
a tutela del diritto di voto, passivo o attivo, avente ad oggetto  la
vicenda elettorale e, in particolare, i suoi risultati. 
    2.2. Ritiene la  Corte  che  la  questione  di  costituzionalita'
sollevata dall'appellante presenti carattere incidentale e sia, sotto
questo profilo, ammissibile. 
    Va premesso che tutto il sistema delle autonomie  locali  prevede
la  partecipazione  dei  cittadini  alla  formazione   degli   organi
rappresentativi e di governo delle  stesse  attraverso  l'espressione
del diritto di voto. 
    Nel caso delle  regioni  e  dei  comuni  e'  prevista  l'elezione
diretta a suffragio universale, mentre nel  caso  delle  provincie  e
delle citta' metropolitane e' prevista l'elezione indiretta. 
    Al pari del voto per le elezioni politiche, anche il voto per  le
autonomie locali di cui agli articoli  5  e  114  della  Costituzione
costituisce, come ha chiarito Cassazione n. 12060/2013, l'oggetto  di
un diritto «permanente dei cittadini, i quali possono essere chiamati
ad esercitarlo in qualunque momento e devono  poterlo  esercitare  in
modo conforme a Costituzione». 
    Secondo quanto sopra esposto la legge n. 56/2014 e,  in  Sicilia,
la legge n. 15/2015, nell'istituire le citta' metropolitane in  luogo
delle provincie, all'elezione del cui presidente partecipavano  tutti
cittadini elettori residenti nel relativo territorio, hanno stabilito
che invece il sindaco  metropolitano  coincide  con  il  sindaco  del
capoluogo della citta' metropolitana, con il risultato  che  tutti  i
cittadini iscritti nelle liste elettorali della citta' metropolitana,
fatta eccezione per quelli iscritti nelle liste  del  capoluogo,  con
l'introduzione delle leggi in questione  non  possono  piu'  prendere
parte, neppure indirettamente, alla scelta del sindaco  metropolitano
che e' a loro sottratta. 
    Sembra al  collegio  indubbio  che,  attraverso  le  leggi  sopra
indicate, non dissimilmente - in  linea  di  principio  -  da  quanto
avveniva in forza della legge n. 270/2005 che impediva  di  esprimere
preferenze in occasione dell'elezione  dei  parlamentari,  sia  stato
limitato il diritto dei cittadini non residenti nel comune  capoluogo
a conformare, con la loro scelta elettorale, gli  organi  di  governo
dell'ente  intermedio,   escludendolo   in   relazione   al   sindaco
metropolitano. 
    Se questo e' vero, ritiene il collegio che debba riproporsi,  nel
caso a mani, lo  stesso  percorso  logico  ed  argomentativo  che  ha
portato prima Cassazione  12060/2013  a  sollevare  la  questione  di
costituzionalita' della legge elettorale che limitava il  diritto  di
voto nelle elezioni politiche e poi Corte costituzionale n. 1/2014  a
ritenere   la   questione   ammissibile    anche    in    punto    di
pregiudizialita'/incidentalita' costituzionale della stessa  rispetto
al giudizio di merito. 
    Invero, fatta eccezione  per  il  profilo  dell'autodichia  delle
camere,  per  il  resto  la  questione  si   ripropone   in   termini
sostanzialmente non dissimili da quelli esaminati dalle giurisdizioni
superiori nelle due sentenze appena menzionate  e  pero',  quanto  al
tema dell'autodichia delle camere ed all'esigenza che non  vengano  a
crearsi zone franche rispetto al sindacato di  costituzionalita',  si
e' gia' sopra osservato  come  nel  ragionamento  seguito  dal  Corte
costituzionale n. 1/2014 il profilo in  esame  non  presenti  valenza
dirimente, bensi' venga  addotto  solo  a  conforto  della  soluzione
raggiunta in ordine alla questione di incidentalita', si'  come  gia'
risolta - a prescindere dalla necessita' di evitare  zone  franche  -
sulla base delle ragioni sopra riportate. 
    A  cio'  si  aggiunga  che,  anche  a   volerla   ammettere,   la
possibilita' di sollevare questione di  costituzionalita'  in  ordine
alle  norme  piu'  volte  menzionate  nell'ambito  di   un   giudizio
impugnatorio incoato ai sensi dell'art. 22 del decreto legislativo n.
150/2011, ferma restando la  non  peregrina  difficolta'  evidenziata
dall'appellante secondo cui: «alla stregua  della  normativa  vigente
per il sindaco metropolitano non vi e' un atto da  impugnare  in  via
autonoma: non vi e' un esito  elettorale  da  gravare  e  contro  cui
ricorrere, se non appunto la designazione automatica che deriva dalla
scelta legislativa» -, di per se' non esclude  che,  sussistendone  i
presupposti, la questione possa essere  sollevata  anche  nell'ambito
del presente giudizio avente carattere non  impugnatorio,  bensi'  di
mero accertamento del diritto «permanente» di voto. 
    Alla luce di quanto sopra esposto quindi, ad avviso della  Corte,
a fronte della domanda con cui D           F           M            ,
cittadino elettore, ha chiesto che venga accertato il  perimetro  del
suo diritto di voto e, segnatamente, la possibilita' che  esso  valga
anche a conformare l'amministrazione della citta' metropolitana entro
cui risiede, con riferimento alla elezione del sindaco metropolitano,
senza tuttavia essere iscritto  nelle  liste  elettorali  del  comune
capoluogo: 
        a) sussiste la giurisdizione dell'AGO, vertendosi in tema  di
diritti politici e, segnatamente di elettorato attivo; 
        b) sussiste l'interesse ad agire, atteso  che  il  ricorrente
lamenta che il suo diritto di voto e' attualmente  limitato  e  vuole
che l'AGO ne accerti la pienezza; 
        c) sussiste il carattere di incidentalita' della questione di
costituzionalita' perche' al  fine  di  rispondere  alla  domanda  di
giustizia proposta dall'appellante questa A.G. deve accertare  se  il
suo diritto di voto debba potersi  esprimere  anche  in  ordine  alla
scelta del sindaco metropolitano, e cio' al  di  la',  quindi,  della
concreta e contingente ragione impeditiva costituita dalle  norme  la
cui incostituzionalita' e' stata eccepita; 
        d) sussiste la rilevanza della questione di costituzionalita'
atteso che non si puo'  procedere  all'accertamento  richiesto  senza
applicare l'art. 13, comma 1, legge regionale n. 15/2015 ed 1,  comma
19, della legge n. 56/2014, piu' volte menzionati, che delineano  chi
concorre a scegliere il soggetto chiamato ad esercitare la carica  di
sindaco metropolitano (e conseguentemente anche l'art. 14 della legge
regionale n. 15/2015 che, in  stretta  conseguenzialita'  rispetto  a
quanto previsto dall'art. 13, comma 1, condiziona la permanenza nella
carica di sindaco metropolitano alla conservazione  della  carica  di
sindaco del capoluogo). 
    3. Va adesso verificato se,  le  questioni  di  costituzionalita'
sollevate dall'appellante siano, o meno, manifestamente infondate. 
    A tal fine bisogna distinguere le questioni aventi ad oggetto  le
norme che individuano nel sindaco del  comune  capoluogo  il  sindaco
metropolitano (art. 13, comma 1, legge regionale n.  15/2015)  e  che
condizionano la conservazione di quest'ultima carica alla  permanenza
della prima (art. 14 della legge regionale n. 15/2015), dalle altre. 
    Con riferimento alle prime ritiene la Corte che la  questione  di
legittimita' costituzionale non sia manifestamente infondata. 
    Si e'  visto  che  con  essa  l'appellante  si  duole  di  essere
sostanzialmente vittima di una ingiustificata discriminazione  atteso
che,  in  applicazione  delle  norme  contenute  nella  della   legge
regionale n. 15/2015 e 56/2014, soltanto i cittadini  iscritti  nelle
liste del comune capoluogo della citta' metropolitana concorrono, con
il loro voto, ad eleggere il sindaco metropolitano. 
    Ad avviso della Corte la questione di  costituzionalita'  non  e'
manifestamente infondata, atteso che se e' vero che il sistema  delle
autonomie locali di cui agli articoli 5 e 114 della Costituzione (che
costituiscono anche formazioni sociali nell'ambito  delle  quali,  ai
sensi dell'art. 2 della  Costituzione,  la  Repubblica  garantisce  i
diritti  inviolabili  dell'uomo)  e'  imperniato  sul  principio   di
rappresentanza  (attraverso  meccanismi  elettorali  di  primo  o  di
secondo grado), la legge che  limiti  ad  una  parte  soltanto  degli
amministrati il potere  di  esprimere,  con  il  suo  voto,  l'organo
rappresentativo  ed  a  competenza  innumerata  dell'ente  intermedio
Citta' metropolitana,  sembra  contraddire  il  principio  stesso  di
democrazia (art. 1 della Costituzione), di uguaglianza dei  cittadini
(art.  3,  commi  1  e  2,  della  Costituzione),   con   particolare
riferimento all'eguaglianza del diritto di voto sancita dall'art. 48,
comma 2, della Costituzione, atteso che mentre i  cittadini  iscritti
nelle liste elettorali del capoluogo della citta' metropolitana,  con
loro voto, eleggono  sia  l'organo  rappresentativo  del  comune  che
quello dell'ente  intermedio,  il  voto  amministrativo  degli  altri
cittadini, parimenti soggetti all'amministrazione dello  stesso  ente
intermedio, e'  del  tutto  irrilevante  ai  fini  dell'elezione  del
sindaco  metropolitano:  banalizzando,  quindi,  con  un  solo   voto
(diretto ed  a  suffragio  universale)  i  cittadini  del  comune  di
capoluogo eleggono due cariche mentre i restanti cittadini  residenti
nella citta' metropolitana sono esclusi dalla  scelta  di  un  organo
alla cui potesta' amministrativa sono comunque soggetti e che (anche)
ad essi dovrebbe rispondere. 
    A  cio'  va  aggiunto  che   la   posizione   deteriore,   quanto
all'eguaglianza del diritto di voto, dei  cittadini  che  si  trovano
nelle condizioni dell'appellante, rispetto a quelli che risiedono nel
comune capoluogo, si apprezza altresi' alla luce  del  confronto  del
trattamento ad essi riservato nel caso in cui  l'ente  intermedio  di
area vasta di riferimento,  anziche'  la  citta'  metropolitana,  sia
invece costituito dalla provincia, atteso che, in  quest'ultimo  caso
il voto dei predetti e' perfettamente uguale a  quello  degli  altri,
visto che tutti i residenti nella provincia,  votando  alle  elezioni
amministrative per la  scelta  del  proprio  sindaco  e  del  proprio
consiglio comunale, concorrono, con un meccanismo elettivo di secondo
grado, alla elezione sia del consiglio provinciale che del presidente
della provincia,  mentre  invece,  nelle  citta'  metropolitane,  non
soltanto i non residenti nel capoluogo partecipano  soltanto,  sempre
con elezioni di secondo livello e questa volta al pari dei  residenti
nel capoluogo, alla elezione  del  consiglio  metropolitano,  bensi',
rispetto al sindaco metropolitano, a fronte della loro impossibilita'
a concorrere all'elezione si pone  la  posizione  dei  residenti  nel
capoluogo i quali, addirittura, lo eleggono con voto diretto. 
    Sulla base di queste ragioni ritiene la Corte che la questione di
costituzionalita' delle leggi in applicazione delle quali si dovrebbe
negare che  l'appellante  abbia  diritto  a  che  l'elezione  sindaco
metropolitano  sia  anche  espressione  della  sua  scelta   (e   che
condizionano la permanenza nella carica di sindaco metropolitano alla
conservazione della carica di  sindaco  del  comune  capoluogo  della
citta' metropolitana), non sia manifestamente infondata. 
    Non militano contro la anzidetta soluzione le due  pronunce  rese
ad  oggi  dalla  Corte  costituzionale  sulle  norme   che   vengono,
nuovamente, in questa sede in rilievo. 
    Invero, fermo restando che, come e' noto, le sentenze con cui  la
Corte   costituzionale   dichiari   infondata   la    questione    di
costituzionalita' non precludono che le stesse norme  possano  essere
nuovamente sottoposte a giudizio di costituzionalita' in relazione  a
diversi,  e  perfino  agli  stessi,  vizi  gia'   scrutinati,   Corte
costituzionale n. 50/2015, nel rigettare  le  numerose  questioni  di
costituzionalita' sollevate, in via principale, da talune regioni con
riferimento a svariate norme della legge n. 56/2014  tra  cui  quella
che  individua  nel  sindaco  del   comune   capoluogo   il   sindaco
metropolitano (art. 19, comma 1), si  e'  limitata  a  verificare  la
compatibilita' costituzionale del modello di governo di secondo grado
che le stesse prevedono per la citta' metropolitana, senza occuparsi,
specificamente, della loro  costituzionalita'  con  riferimento  alle
criticita' afferenti l'eguaglianza dei cittadini e del  loro  diritto
di voto su cui, invece, si impernia,  la  questione  che  viene  oggi
sollevata. 
    Ancor meno rilevante ai fini della valutazione in  punto  di  non
manifesta infondatezza della questione di costituzionalita'  che  qui
viene  in  rilievo  si  appalesa,  dipoi,  Corte  costituzionale   n.
168/2018, che ha  dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  degli
articoli da 1 a 6 e 7, lettere  b),  c)  ed  e),  della  legge  della
Regione siciliana 11 agosto 2017, n.  17,  modificativa  della  legge
regionale n.  15/2015,  con  cui,  in  Sicilia,  era  stata  prevista
l'elezione diretta ed a suffragio  universale,  tra  gli  altri,  del
sindaco  metropolitano,   e   cio'   perche'   la   declaratoria   di
incostituzionalita' e' stata pronunciata non gia' in quanto la  Corte
costituzionale abbia in qualche modo avallato il sistema di cui  oggi
si discute in punto di disparita' di trattamento tra i cittadini e di
considerazione del loro diritto di voto,  bensi'  solo  perche':  «Il
"modello di governo  di  secondo  grado",  adottato  dal  legislatore
statale, diversamente da quanto sostenuto dalla regione, rientra, tra
gli "aspetti essenziali" del complesso  disegno  riformatore  che  si
riflette  nella  legge  stessa»  e  perche'  «Le  disposizioni  sulla
elezione indiretta degli organi territoriali, contenute  nella  legge
n. 56 del 2014, si  qualificano,  dunque,  come  "norme  fondamentali
delle riforme economico-sociali,  che,  in  base  all'art.  14  dello
statuto speciale per la regione siciliana,  costituiscono  un  limite
anche all'esercizio delle competenze legislative di tipo esclusivo"». 
    Anche in questo caso,  quindi,  la  Corte  costituzionale  si  e'
occupata, sia pure attraverso il  vaglio  del  sindacato  dei  limiti
della potesta' legislativa regionale, del solo profilo relativo  alla
previsione, per la citta' metropolitana, di un modello di governo  di
secondo grado, senza per nulla affrontare la diversa questione  della
qui denunciata  disuguaglianza  tra  i  cittadini  che  le  norme  in
questione realizzano avuto riguardo a coloro del cui  voto  si  tiene
conto nella istituzione del governo di secondo grado. 
    In definitiva, quindi, ritiene la Corte  di  non  ravvisare,  nei
giudizi di costituzionalita' gia' espressi dalla Corte costituzionale
sulla normativa che viene oggi in rilievo, ragioni che  militino  nel
senso della manifesta  infondatezza  della  questione  che  oggi,  in
questa sede, si pone. 
    4. A diverse  conclusioni  ritiene  la  Corte  di  pervenire  con
riferimento  alle  altre  questioni  di  costituzionalita'  sollevate
dall'appellante. 
    Invero, premesso che il D             difetta  di  interesse  con
riferimento alla parte della  norma  riguardante  il  Presidente  del
libero Consorzio  comunale  ed  il  Consiglio  del  libero  Consorzio
comunale atteso che, come detto, e' cittadino  iscritto  nelle  liste
elettorali  di  comune  rientrante  in  una  citta'  metropolitana  -
dovendosi quindi parametrare a questo ente di area vasta le questioni
alla soluzione cui ha interesse -,  va  osservato  che  il  Consiglio
metropolitano e' eletto dai sindaci e  dai  consiglieri  comunali  di
tutti i comuni della citta' metropolitana,  e  l'art.  19,  comma  1,
della legge regionale Sicilia 4 agosto 2015, n. 15,  come  modificato
dall'art. 7 della legge regionale Sicilia 29 novembre  2018,  n.  23,
(secondo cui:  «Il  Presidente  del  libero  Consorzio  comunale,  il
Consiglio del libero Consorzio comunale ed il Consiglio metropolitano
durano in carica cinque anni. In caso di rinnovo  del  consiglio  del
comune capoluogo della  citta'  metropolitana,  si  procede  a  nuove
elezioni del Consiglio  metropolitano  entro  sessanta  giorni  dalla
proclamazione del sindaco del  comune  capoluogo»),  non  incide  sul
diritto di voto dei cittadini  non  residenti  nel  capoluogo  i  cui
rappresentanti restano comunque in carica, in  caso  di  rinnovo  del
consiglio comunale del comune capoluogo, e sono chiamati a  rinnovare
l'elezione del consiglio metropolitano.  Si  appalesa  cosi'  affatto
diversa la portata della  norma  in  questione,  non  equiparabile  a
quella  che  vede  l'individuazione  nel  sindaco  metropolitano  del
sindaco   del   capoluogo   e   non   attinta    dai    profili    di
incostituzionalita' con riferimento a quest'ultima denunciati, atteso
che  la  stessa  mira  soltanto  a   garantire   che   il   consiglio
metropolitano sia espressione del consiglio  comunale  del  capoluogo
attualmente in carica. 
    Ne consegue che, con riferimento ad essa, difetta il  presupposto
di non manifesta incostituzionalita' della questione. 
    Alle medesime conclusioni si  deve  pervenire,  ad  avviso  della
Corte, anche  con  riferimento  all'art.  3,  comma  2,  della  legge
regionale Sicilia 4 agosto 2015, n. 15 (secondo cui:  «La  Conferenza
metropolitana, su proposta  del  Consiglio  metropolitano,  adotta  o
respinge lo statuto e le sue modifiche con i voti  che  rappresentino
almeno la meta' dei comuni compresi nella citta' metropolitana  e  la
meta'  della  popolazione  complessivamente   residente»),   e   cio'
considerato che la Conferenza metropolitana e' composta  dai  sindaci
dei comuni appartenenti alla citta' metropolitana  e  trattandosi  di
norma rispettosa del principio di maggioranza. 
    Quanto infine alla questione posta con riferimento  all'art.  13,
comma 2, legge regionale n. 15/2015, secondo cui anche in Sicilia  si
applica l'art. 1, comma 22, della legge n. 56/2014 (che prevede  che:
«Lo statuto della  citta'  metropolitana  puo'  prevedere  l'elezione
diretta del sindaco e del  consiglio  metropolitano  con  il  sistema
elettorale che  sara'  determinato  con  legge  statale.  E'  inoltre
condizione necessaria, affinche' si possa far luogo  a  elezione  del
sindaco e del consiglio metropolitano  a  suffragio  universale,  che
entro la data  di  indizione  delle  elezioni  si  sia  proceduto  ad
articolare il territorio del comune capoluogo in piu' comuni.  A  tal
fine il comune capoluogo  deve  proporre  la  predetta  articolazione
territoriale, con  deliberazione  del  consiglio  comunale,  adottata
secondo la procedura prevista dall'art. 6, comma 4, del testo  unico.
La  proposta  del  consiglio  comunale  deve  essere   sottoposta   a
referendum tra tutti  i  cittadini  della  citta'  metropolitana,  da
effettuare sulla base delle rispettive leggi regionali, e deve essere
approvata dalla maggioranza dei partecipanti  al  voto.  E'  altresi'
necessario  che  la  regione  abbia  provveduto  con  propria   legge
all'istituzione dei nuovi comuni e alla loro denominazione  ai  sensi
dell'art. 133 della Costituzione. In alternativa  a  quanto  previsto
dai  periodi  precedenti,  per  le  sole  citta'  metropolitane   con
popolazione superiore  a  tre  milioni  di  abitanti,  e'  condizione
necessaria, affinche' si possa far luogo ad elezione  del  sindaco  e
del Consiglio metropolitano a suffragio universale,  che  lo  statuto
della citta' metropolitana preveda la costituzione di zone  omogenee,
ai sensi del comma 11, lettera c), e che il  comune  capoluogo  abbia
realizzato la ripartizione del proprio territorio in zone  dotate  di
autonomia amministrativa, in coerenza con  lo  statuto  della  citta'
metropolitana»), anche in questo caso la stessa appare manifestamente
infondata perche' attraverso essa in realta' dubita, questa volta si,
della legittimita' costituzionale del modello di governo  di  secondo
livello previsto per la citta' metropolitana (come e'  reso  evidente
alla  circostanza  che  la  modifica  dello  statuto  riguarda  anche
l'elezione diretta del Consiglio metropolitano e non  gia'  del  solo
sindaco metropolitano) su cui la Corte si e' gia' espressa e  su  cui
il collegio, condividendone  la  posizione,  non  intende  ritornare,
mentre invece la denunciata disparita' tra i  cittadini  elettori  in
quanto  residenti,  o  meno,  nel  capoluogo,  secondo  la  paventata
concezione patrimonialistica del diritto di voto, non  sembra  essere
integrata dalla normativa in questione, se e' vero che il sistema  di
voto ponderato (previsto, in relazione al voto espresso dai sindaci e
dai consiglieri comunali per l'elezione del  Consiglio  metropolitano
da cui dipende l'iniziativa della modifica  statutaria  prevista  dal
comma 22 per l'elezione diretta del  sindaco  metropolitano  e  dello
stesso consiglio metropolitano) costituisce pur  sempre  promanazione
di  quello  maggioritario  e  rispecchia  la  popolazione   residente
nell'intera citta' metropolitana. 
    E'  appena  il  caso  di  evidenziare  come   le   questioni   di
costituzionalita' non manifestamente infondate vadano  sollevate  non
soltanto con riferimento alla normativa  regionale  introdotta  dalla
legge n. 15/2015 applicabile in Sicilia, bensi' anche con riferimento
alla corrispondente normativa statale di cui alla  legge  n.  56/2014
rientrante, come chiarito da Corte costituzionale n. 168/2018, tra le
«norme fondamentali delle riforme  economico-sociali,  che,  in  base
all'art.  14  dello  statuto  speciale  per  la  regione   siciliana,
costituiscono  un  limite  anche   all'esercizio   delle   competenze
legislative di tipo esclusivo» ed a cui chiaramente va ricondotta  la
scelta dell'assetto da impartire al modello di governo  della  citta'
metropolitana sotto il profilo,  che  viene  qui  in  rilievo,  della
attribuzione  al  sindaco  del  capoluogo  della  carica  di  sindaco
metropolitano. 
    Una ultima notazione va riservata al profilo della integrita' del
contraddittorio, non ritenuta tale dal giudice di  prime  cure  sulla
base di considerazioni che questa  Corte  non  reputa  meritevoli  di
essere condivise. 
    Invero, secondo il tribunale (che poi ha  comunque  deciso,  onde
evitare il dispendio di attivita' processuali inutili,  di  esaminare
la  questione  sollevata  in  ricorso  avendo  ritenuto  di   doverne
dichiarare  la  inammissibilita')  il  ricorrente,  dolendosi   della
incostituzionalita' di una legge regionale e di  una  legge  statale,
avrebbe  dovuto  promuovere  il  giudizio  a  quo  non  soltanto  nei
confronti della citta'  metropolitana,  bensi'  anche  nei  confronti
della Presidenza del Consiglio dei ministri e della Presidenza  delle
Regione siciliana. 
    Ritiene invece il collegio che la  domanda  di  accertamento  del
diritto di voto sia stata correttamente proposta dal  ricorrente  nei
soli confronti dell'ente intermedio in  relazione  al  quale  il  suo
diritto  di  elettorato  attivo  sarebbe,  secondo  il  suo  assunto,
limitato,  non  rilevando  sotto  il  profilo   del   contraddittorio
processuale del giudizio a quo (e  ferma  restando  la  facolta'  del
Presidente del Consiglio e del Presidente della Giunta  regionale  di
intervenire nel giudizio dinanzi alla Corte Costituzionale  ai  sensi
dell'art. 25 della legge n. 87/1953) la circostanza che in esso venga
eccepita la incostituzionalita' di norme regionali e statali. 
    In altri termini l'impostazione del tribunale,  coerente  con  la
dichiarazione  di  inammissibilita'  del  ricorso  per   difetto   di
incidentalita' della questione costituzionale in esso sollevata, vede
la domanda giudiziale  proposta  dal  ricorrente  tesa  a  realizzare
l'impugnazione «diretta» delle norme tacciate di incostituzionalita'. 
    Sono pero' state sopra esposte le  ragioni  per  cui,  ad  avviso
della Corte, la suddetta  impostazione  non  sembra  condivisibile  e
conseguentemente, anche in punto di integrita'  del  contraddittorio,
non si puo' che dare atto che  il  giudizio  si'  come  proposto  dal
D            e' stato ritualmente  introdotto  con  l'evocazione  del
solo legittimato passivo rappresentato dalla citta' metropolitana.